venerdì 7 marzo 2014

Darkarnival

Carnevale è appena passato, ma io ho trovato adesso un momento per scriverne qualcosa.
L'importante è essere up-to-date, in-time e soprattutto non aver bisogno di lavorare per vivere, suppongo.

Costumi per Carnevale.
Vi ho già detto di non essere stata una bambina facilissima, vero?
A quanto ricordo, ho avuto un unico costume di Carnevale.

Dopo quella che credo sia stata una selezione lunga e laboriosa, mi fu comprato un bellissimo ed accurato vestito da Anna Bolena. Per "bellissimo ed accurato", intendo dire che avrei potuto tranquillamente utilizzarlo per interpretare Anna da bambina in qualche sceneggiato televisivo.
Era fatto di broccato in varie sfumature di verde pallido ed oro trapuntato di perle, e tulle vero ricamato.
Credo che a convincermi sia stato questo e il fatto di sapere che Anna avesse fatto una tragica fine, decapitata dal marito Enrico VIII. E ovviamente, il fatto di poter indossare un diadema di strass.

Credo di averlo usato un paio di volte: una volta all'aperto, in Via Cola di Rienzo, dove c'è una delle tradizionali passeggiate dei bambini romani in maschera, e ad una festa a casa di vicini.
Dopodiché constatai che i bambini sconosciuti per strada appartenevano ad una specie ancora non evoluta (raccoglievano i coriandoli DA TERRA e se li ti TIRAVANO ADDOSSO? ed ANCHE A ME??). Quelli indoor sembravano leggermente più civilizzati, ma ancora non soddisfacenti i miei standard.

Quei rasoni luccicanti celesti-celesti e rossi-rossi, magari cuciti a mano alla meno peggio dalle loro mamme, delle principesse generiche e fate varie, mi mettevano tristezza; mi ritrovavo a fissare i baffi sbavati di pennarello dei vari zorro e le spade finte, con le punte di plastica che si ammosciavano dopo i primi due minuti di duello, con un'espressione che senza volerlo si sedimentava nel loro subconscio generando problemi con cui avrebbero dovuto discutere con i loro analisti trent'anni dopo; mi interrogavo sinceramente infine, se i costumi "buffi" da gnomo, ape o fungo dei bambini sopra i 3 anni fossero realmente frutto di una loro libera scelta o piuttosto di un rapporto disfunzionale governato dall'odio genitoriale.

Inoltre, tutti quei bambini muovendosi e facendo casino rischiavano di strapparmi il vestito.
Così diedi un taglio alla faccenda del Carnevale.

Anche se in realtà continuavo a travestirmi, e spesso.

A casa dei miei nonni c'era un mobile bellissimo. Di legno intagliato, con le ante e le pareti in vetro e  foderato internamente di raso rosa antico. Il cassetto superiore conteneva i gioielli di mia nonna. Gli sportelli inferiori, la sua biancheria. Sia il mobile che i gioielli che la biancheria appartenevano alla stessa epoca cui faceva riferimento il mio modello educativo, che si poteva riassumere con:

"Le cose vanno fatte per bene."

Così fin da quando ero stata in grado di aprire quelle ante da sola, mi era bastato chiedere a mia nonna: "Posso provarmi qualcosa?" e lei senza neanche alzare gli occhi dal suo romanzo giallo assentiva con un cenno della testa (mia nonna aveva due grandi passioni, nelle quali senza dubbio eccelleva: il bridge e i romanzi gialli, il che denota in quell'alta signora blasè una vocazione per la logica deduttiva e l'omicidio, che teniamo ancora teneramente cari come parte del nostro retaggio familiare).

Così per ore mi provavo e riprovavo sottovesti di seta e pizzo di tutti i colori, foulard di seta trasparente dipinti a mano, guanti lunghi fin sopra al gomito; boa, cappelli bellissimi, (oggi come animalista mi duole ammetterlo) pellicce di tutti i tipi, nelle quali io e Pippo ci rotolavamo insieme, con la coccolosità inconsapevole di un cocker e una bambina. Mi caricavo di tutti i gioielli come un piccolo idolo pagano, cercando micromondi sommersi negli abissi degli smeraldi, nel fuoco dei rubini, nei mari dei lapislazzuli. E per completare l'opera, infine mi inondavo con un'indecente quantità di una qualche essenza demodè, come la violetta di Coty, ma anche di Le Roi Soleil, Diorissimo, o Miss Dior (che per struggimento sono tornata ad usare da adulta).

Conciata in quel modo (col senno del poi) quantomeno discutibile, poi andavo sul balcone, e dai cespugli di asparagina guardavo la gente nel comprensorio di sotto. Anche gli altri bambini che giocavano. Vi prego di non pensare ora al cliché della bambina strana triste e sola, perché io mi divertivo effettivamente molto.
Poi, un bel bagno e a nanna. Per me era Carnevale ogni volta che volevo.

I miei nonni cominciarono ad invecchiare e io a passare più tempo coi miei genitori.
Mia madre mi portava a comprare i miei vestiti alla Cicogna, sempre in Via Cola di Rienzo.
Ho un flashback. Una saletta al piano superiore gremita di vestitini provati e scartati, una commessa compostamente esausta. Io molto seria. "Mi piace questo. Voglio questo." "Non è possibile. Non vedi che è tutto nero?" "E' bello. Il nero è bello. Mi piace." Mia madre era una donna che ricercava la compostezza, quindi non avrebbe mai pianto in pubblico. "Tesoro, quelli sono vestiti per il lutto."

Successivamente, mia madre adottò una strategia vincente. Accanto al portone della nostra casa c'era la boutique di una signora francese, Annette. Annette mi piaceva. Mia madre mi mandava giù da lei col patto che io potessi comprare quello che volevo, e Annette riuscisse a mandarmi in giro in modo meno alieno possibile. Annette era bravissima a fare contenta la propria clientela strapagante e io strafelice di poter passare le ore a rovistare in mezzo ai suoi vestiti francesi, così raggiungemmo una tregua.

Negli anni '80 ero di pessimo umore. Ovvero adolescente. Mi avevano deportato. In un centro residenziale. Fuori città.
"Odio la vita." "E' normale, sei giovane. Perché non esci?" "Non c'è niente fuori." "Perché non ti vedi col tuo ragazzo?" "Studia." "Perché non studi anche tu?"
Era possibile parlare con qualcuno che ragionava in quel modo? Così, per colmo della disperazione, accesi la TV. Evidentemente, desideravo DAVVERO morire.
E così ci incontrammo. E sentii quella musica. E vidi quelle mani che si muovevano. E provai quella gioia profonda.
Capii all'istante di aver trovato finalmente  la maschera più adatta a me.




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