venerdì 2 settembre 2016

Bene Gesserit 4/4

Alla fine forse ce l'ho fatta: eccomi qua e dopo tante riflessioni, ripensamenti, serie considerazioni sul lasciar perdere questo post e già che c'eravamo il blog in generale, ecco che mi accingo ad affrontare un argomento che ho sempre considerato spassionatamente una via di mezzo fra materia canonica da psicanalisi e pura pornografia verbale.
In questo post parlerò di mia Madre Giulia, morta a 53 anni nel 1994.

Così con le informazioni essenziali siamo già a posto.

Ovviamente è difficile risultare sintetici od obiettivi su un argomento del genere.

Mia Madre l'ho scoperta tardi e l'ho persa presto.

Credo di aver scelto come figure genitoriali i miei nonni, da piccola. Fondata o meno, per anni in seguito ho coltivato quest'idea negando ai miei genitori ogni principio di autorità.
Non ho mai avuto un buon rapporto con mio padre: lui preferiva palesemente mia sorella minore e francamente mi sembrava che provasse per me se non antipatia, una specie di competitività. Più che una figlia, mi sentivo una sorta di strana sorella minore. Da adulta, aggiungerei che l'aspetto negativo di questa situazione è che si trattava di una convinzione, un dato di fatto indolore. Di fatto, o ci litigavo o quando ero di buon umore lo evitavo.

Con mia madre era diverso. Lei non mi dispiaceva. Ma mi dispiaceva per lei.
Ancora adesso ogni volta che penso a lei io provo quella stessa identica sensazione di dispiacere, e questo non solo a causa della sua scomparsa, ma per tutto quanto. La sua morte precoce mi sembra ancora oggi l'epilogo ineluttabile della sua vita, come mi sembrò l'alba del giorno di giugno in cui ricevetti la comunicazione che era stata trovata senza vita nel proprio letto. "Ovvio." Pensai d'istinto, a prescindere dal fatto che era gravemente malata.

Mia madre mi è sempre sembrata assurdamente fragile.
Era una donna piccola e minuta, spessissimo malata.
Si ammazzava di lavoro tutta la settimana e quasi tutti i week end si metteva a letto stroncata da emicranie orribili.
Somatizzava ogni difficoltà, ogni problema, ogni offesa. Ha sofferto per tantissime patologie, interventi, due tumori, l'ultimo dei quali  l'ha uccisa.

Mia madre era incapace di farsi una ragione del mondo.
Era una sognatrice: il suo paradiso su questa terra era fatto di musica, fiori e di tutti i libri che aveva letto; l'inferno era la villania della realtà.
Viveva per la bellezza e la perfezione e si scontrava di continuo con la loro irraggiungibilità.
Era debole e condizionabile. Ancora oggi vorrei poterla difendere dalla miriade di felloni che si sono approfittati della sua buona fede, imbrogliandola e facendola soffrire.
Avrebbe voluto vivere in eden cortese popolato da anime nobili come quelle dei cavalieri sui quali aveva speso anni di letture e studi; quando poi veniva trascinata bruscamente nel fango della delusione, reagiva con un furore e dolore che la consumavano.

All'epoca mi limitavo a provare una sorta di sconforto.

"Cosa te ne frega di quello che ha detto X? Perché dovresti fare bella figura con lui/lei?"
"E' davvero un tuo problema? Devi pensare sempre a risolvere tutto tu?"
"Non è reciproco rispetto, è paura di discutere."
"Io penso che tu sia in grado di fare tutto. Fai un lavoro impegnativo, quindi puoi usare il cervello anche per fare altre cose."

E soprattutto la più gettonata, universalmente:

"Te e papà non restate insieme per noi, è che avete paura di separarvi!"

Eppure, mentre io facevo da madre a mia madre come in una brutta sit-com, con le sicurezze ferree e la presunzione dell'adolescenza, in qualche modo è accaduto che lei sia riuscita a diventare mia Madre.
Mentre io mi spendevo in fervorini, lei mi plasmava con l'esempio silenzioso.

Innanzitutto, deponendo in me i semi di una pianta destinata ad estirpare le erbacce dell'allora mio connaturato e rigoglioso fancazzismo.
Mia Madre era una lavoratrice instancabile, precisa e coscienziosa, sia in azienda che a casa.
Credeva nel valore della competenza, della cultura e della dedizione.
Anni dopo, quando nella stessa esattezza ho trovato finalmente la serenità data dalla consapevolezza di aver soddisfatto il proprio senso del dovere, la soddisfazione della compiutezza, dell'ordine, di aver fatto del proprio meglio, ho ritrovato Lei, come una benedizione.

Mia Madre era perfezionista, ovvero ricercava perfezione e bellezza.
Forse oggi farebbe una discreta fatica a riconoscere il suo stile, dal momento che lei usciva solo in tailleurs impeccabili e scarpe fatte su misura, in una figlia che alla sua stessa età gira in jeans grigi e stivaletti da elfo in similpelle, ma è grazie a lei che la mia vita è costellata di piccole inestimabili gioie contemplative, fatte anche solo del sentore di un profumo o della simmetria delle passiflore che fioriscono sul mio balcone.

Mia Madre era generosa. E' vero che si indignava ferocemente di fronte alla malafede e ai comportamenti che reputava meschini (così come succede a me, che ho ereditato la sua intemperanza ovvero incazzosità, ammettiamolo, senza neppure i suoi limiti fisici), ma è altrettanto vero che non l'ho mai sentita parlare meschinamente di qualcuno, cosa di cui le sarò eternamente grata in questo oceano di trivialità, ed è stata lei ad insegnarmi uno dei precetti che reputo più preziosi per la mia vita: "Difendi gli innocenti."
Lei adorava i giovani: le piaceva dedicarcisi ed insegnare ciò che poteva, trasmettere valore ed aiutare più che poteva, così come cercava, sostanzialmente, di rendersi sempre utile.
E questo è uno dei pochi precetti religiosi che io sento di aver ricevuto e rispetto.

L'ultima volta che ci ho parlato è stato al telefono, la sera prima che morisse, e mi ricordo un'ultima frase.
"Avrei voluto passare più tempo con voi."
Anch'io avrei voluto passare più tempo con lei. Avrei voluto che mi vedesse diventare felice e io vedere felice lei. 

Non ho mai smesso di parlare con lei, nei dialoghi interiori che penso accompagnino per sempre tutti quelli che hanno perso qualcuno di importante.
Ogni volta che sono riuscita a fare qualcuna delle cose che avrei voluto che lei facesse per sé.
Ogni volta che ho raggiunto un risultato di cui sono stata fiera.
Ogni volta che sono felice.
Le dico: "Guarda Mamma, questo è anche per te."
Sono certa che lei sarebbe felice per me. E penso che questa certezza sia la cosa migliore che possa lasciarti un genitore.