venerdì 6 maggio 2016

Bene Gesserit 2/4

Mi arrendo.
Ho provato a scrivere questo post per settimane e poi, dopo averlo scritto, riscritto, allungato all'inverosimile, modificato in tutti i modi, ci ho riflettuto e sbam! Ho cancellato tutto per scrivere al suo posto qualcosa di completamente diverso.

Questo post doveva essere dedicato ad una suora (non la mia maestra, ma ad un'altra suora che deteneva un ruolo direttivo nella scuola dove ho studiato da piccola) che fondamentalmente per diversi anni mi ha favorito incoraggiandomi negli studi. E scoraggiandomi a perdere tempo in tutto quello che immagino ritenesse collaterale e vagamente frivolo come i corsi di pittura o musica. Ho sempre dato per scontato che l'abbia fatto perché, come manifestava, fosse convinta che grazie alle mie capacità intellettive io fossi in grado perseverando di realizzare qualcosa di sostanziale, di "serio".
Mentre scrivevo, mi sono resa conto che per me lei ha rappresentato un simbolo, il simbolo della risposta costante che ho ricevuto dal mondo ogni qual volta ho manifestato la tentazione di seguire per così dire, strade collaterali. Ovvero: "Sei sprecata per baloccarti con queste sciocchezze: invece studia/lavora seriamente e vedrai cosa riuscirai a fare."

Tagliando e ricucendo inutilmente questo povero post, mi sono resa conto di alcune cose inedite e importanti per me.

Intanto, che così come è estremamente arduo dipingere qualcosa che non hai mai visualizzato, è ugualmente un'impresa titanica e frustrante tentare di scrivere riguardo un'idea che non hai ben chiara.

Poi il fatto in sé, ovvero che, anche se del tutto fuori tempo, un concetto cardine della mia vita non mi è ancora chiaro, e penso che questa sia una situazione che dovrebbe essere evitata e possibilmente prevenuta.

In cosa consisterebbe questa Situazione Incresciosa?

Ho trascorso la maggior parte della mia vita sognando di potermi dedicare a degli studi artistici e poi ad un'attività creativa.
Non è stato così e ho trascorso molti anni, quand'ero più giovane, a rimuginare dentro di me sulle possibili versioni mancate del mio passato. Perché tutti mi avevano tarpato le ali? Perché non avevo studiato arte? Perché non ero un'orafa, una pittrice, un'artista? Perché non vivevo una vita bohémienne nella mia mansarda immaginaria col terrazzo fiorito fra i tetti? 

Negli anni la rabbia adolescenziale si è dissolta, lasciando il posto ad una valutazione più salutare del presente e della realtà oggettiva. Assolvendo gli altri, senza rendermene conto credo di aver assolto me stessa e mi sono ritrovata ad essere una persona inaspettatamente serena.

Eppure volendo applicare una rigorosa autoanalisi, mi rendo conto di non avere gli strumenti per avere una visione chiara e poter tracciare un quadro nitido del confine fra scelte e involontarietà.

Pur essendo consapevole della mia incompetenza (soprattutto in ambito grafico), sono perfettamente felice quando posso creare qualcosa o scrivere. Eppure non possiedo quella brama. la smania che hanno descritto tanti artisti: mi ci dedico raramente, con una sorta di indolenza, anzi spesso proprio con il gusto di aver rimandato il più possibile ed elaborato solo mentalmente.

Sono consapevole della mia incompetenza, ma non mi sono mai iscritta ad un corso di arte in vita mia, pur potendolo fare. E a tale proposito oggi mi chiedo seriamente: ho mai provato realmente  (come tante volte in passato ho immaginato di aver fatto) a chiedere ai miei genitori di fare il liceo artistico?  Ho mai tentato, lottato o solamente sognato e recriminato?

Ho seguito solo un corso di scrittura creativa, ed è stato per concludere quasi subito: che orrore! Il top credo di averlo raggiunto quando mi sono ritrovata io a tenere una lezione di scrittura creativa all'Università di Roma III: ho finito per parlare di gestione di qualità aziendale e attività di verifica (e sono quasi certa di aver detto ad un certo punto: "Ma ora invece parliamo di un argomento che potrebbe effettivamente servirvi  a qualcosa...").
Ho scritto con impegno solo ed esclusivamente su commissione le cose più eterogenee, unicamente quando sono stata pagata per farlo (a onor del vero una volte è stato gratis, ma era un premio letterario che comunque ho vinto, e poi dopo la premiazione al buffet c'erano un sacco di sconosciuti che mi hanno detto tante cose carine, per cui la considero una eccezione ammissibile). Conoscendomi (e per averlo già fatto), so che è così che concepisco la faccenda: se fosse un mestiere mi metterei ogni giorno al pc e scriverei l'esatto numero di cartelle richieste, nel miglior modo a me possibile.

A tale riguardo, un chiaro indizio del mio disagio interiore è che quando qualcuno mi dice che il suo sogno è di diventare uno scrittore, non riesco a non reagire con una sorta di raggelato imbarazzo, come se mi avesse appena confidato, che so, di dedicarsi alle pratiche copro-fetish-sado-maso di gruppo e in aggiunta chiesto giulivamente cosa facciamo io e mio marito venerdì sera, casomai ci volessimo unire (in tutti i sensi). Il che è una reazione del tutto irrazionale, anche considerando quanto spesso mediamente capita questa cosa, tant'è che pur essendomici impegnata a rielaborare con la Parte Migliore di Me (quella poveretta che mi sgomita continuamente nel costato ripetendomi: Non fare la stramba ed empatizza con i bipedi umani!) l'unica emozione che riesco a manifestare è puro imbarazzo, come di fronte ad un'esternazione di impudicizia, e va da sé che il problema dev'essere mio.

Credo di avere questo atteggiamento manicheo fra totale cazzeggio o assoluto mercantilismo perché sono terrorizzata dal rischio di cadere nel velleitarismo.

In me c'è ben radicata la voce del cinismo di Giulio, il personaggio della Famiglia di Ettore Scola:
"Il babbo non sapeva dipingere, tu non sai cantare: una famiglia d'artisti."

Forse è perché ho dei criteri troppo elevati. Nonostante allora i soldi m'abbiano fatto comodo, dopo anni provo ancora un reale rimorso al pensiero che i miei siano stati stampati sacrificando alberi esattamente come per i libri della Yourcenar (molti, molti ma molti di meno, ma erano pur sempre bellissimi alberi).
Forse mi hanno ripetuto talmente tante volte di non baloccarmi in sciocchezze e concentrarmi nelle cose serie, che se avessi voluto "fare arte" a tempo pieno, avrei dovuto studiare arte anni ed anni in modo canonico e rigoroso per poter essere convinta di avere licenza di farlo. Non sarei voluta mai essere niente di meno che un poeta laureato.

Ci sono persone che hanno fatto così e che hanno dedicato all'arte completamente sé stesse.
Ammiro l'entusiasmo degli artisti che riconosco come tali, ma d'altra parte mi causa una reale apprensione, una nausea per empatia, come se li vedessi volare infinitamente su delle montagne russe senza cinture di sicurezza. Non credo che io avrei mai sopportato la soggettività, il fatto di essere oggetto del giudizio altrui; il dover cercare, sperare, il non avere certezze; l'insuccesso.

Non so se sarei mai stata felice senza ordine e chiarezza, nonostante la possibilità estesa di dedicarmi a creare.

Non so, forse.

Non so bene cosa sia successo ai miei sogni, temo.
Non sono in grado di capire se ho fatto delle reali scelte o mi sono adattata al meglio a ciò che ci si aspettava da me.
So che alla fine ho fatto una scelta di buon senso contando sugli elementi positivi che mi sono ritrovata per costruire la mia felicità, anziché rimpiangere quello che non avevo.
So però quello che ho fatto, d'istinto, coi miei figli.

Non gli ho mai detto che erano troppo intelligenti per non fare altro che cose serie.
Gli ho detto sempre, semplicemente: "Scegliete accuratamente ciò che desiderate, fate ciò che desiderate e poi in quella cosa, qualsiasi essa sia, impegnatevi seriamente."
Beninteso, non disegnano né scrivono. Percuoterei duramente i genitori che spediscono i figli a realizzare i propri sogni.
Hanno scelto strade molto diverse. Hanno studiato molto per realizzare ciò che desiderano.
Sono competenti e appassionati.
Se riusciranno a realizzare ciò che hanno desiderato e scelto, come io spero ogni giorno della mia vita, sarà fantastico.
In ogni caso, confido nel fatto che dovunque saranno arrivati fra vent'anni, sapranno vedere e tracciare con chiarezza la strada che li ha portati fino a quel punto.