giovedì 31 agosto 2017

Limone, Aceto, Bicarbonato

Oggi sono andata a portare un vestito in tintoria.
Non è una cosa che faccio spesso per un semplice motivo logistico: la suddetta tintoria si trova sul lato opposto del centro commerciale nel quale lavoro, e questa operazione mi costringe ad attraversarlo TUTTO.

Considerando che 1) non mi piace fare pause lunghe al lavoro e 2) non mi piacciono i centri commerciali, la faccenda solitamente si traduce in una specie di mezza maratona durante la quale io percorro tutta la distanza richiesta facendomi strada in mezzo alla folla a velocità sostenuta, arrivo al banco della tintoria con lo stesso spirito dei marinai di Ulisse mentre approdavano sull'ennesima fottuta ed inutile isoletta, e ne riparto prima possibile anelando la mia scrivania come la natìa Itaca.

Comunque quando superi la fila degli uomini con le loro bustone di camice marca achemiserveunamoglie e delle sciure col loro vestitino monopezzo che consegnano con istruzioni più dettagliate che se consegnassero il proprio unico figlio celiaco ed asmatico il primo giorno all'asilo nido, ti consoli pensando: "Vabbé, dai: in fin dei conti siamo a metà dell'opera..."
Ed è con questa tenue speranza che ho posato con il miglior garbo possibile il mio vestito sul banco.

Color carta da zucchero. Di shantung di seta. Fatto su misura.

Questo è quello che ho detto alla tintora, per colmare il silenzio che si è creato mentre continuava a fissarlo.

Mi spiace: è tutto quello che so su di lui. Non gli ho mai dato un nome. Non posso presentarvi.

Alzando lo sguardo dal vestito, mi ha fissato negli occhi vagamente sconcertata.
"E' macchiato."

Lo ammetto, mi sono sentita in colpa.
"Sì." non ho potuto che rispondere "Ma più che altro dentro, vede? Deve essermi colato qualcosa rovesciandosi dentro, credo caffè. Ma fuori si vede appena...In effetti, l'ho portato per questo." mi sono ripresa, appellandomi alla logica.

Ero perfettamente consapevole della causa del mio senso di colpa.
Potendomi esprimere senza remore, la risposta più completa e onesta sarebbe stata:

"Metto questo vestito solo ai matrimoni, che sono le uniche cerimonie che proprio non riesco a sfangare. E anche a quelli, l'unico modo per sopravvivere che conosco è ubriacarmi giusto il tanto per potermene andare appena posso sulle mie gambe. L'unico matrimonio che sono riuscita a sopportare senza bere è stato il mio. Il secondo, ovviamente. Probabilmente questo vestito si è macchiato perché arrivato il momento del caffè non ero più in grado di coordinare mano-tazzina-bocca, lo prova il fatto che non ricordo assolutamente né il matrimonio né di come sia successo. Per fortuna."

Convenendo però fra me e me che la mia sociofobia non era pertinente con la questione che stavamo affrontando, ho taciuto. Lei però non era intenzionata a lasciar perdere.

"E questo come lo laviamo?"

A questo punto è stato il mio turno per mostrarmi perplessa.
L'ho guardata come avrei guardato il chirurgo se in sala operatoria ad anestesia già avviata fissando la mia pancia mi avesse chiesto: "E questa come la tagliamo?"

"Credo che questo sia di sua competenza...veda un po' lei. E' il suo lavoro, non mi permetterei mai di dirle come farlo." Le ho risposto con tutto il più bel garbo e palesando il maggior rispetto possibile, ma dentro di me intanto c'erano i rematori di Ulisse che cominciavano già a spazientirsi, tutti sudati e coperti di salsedine.

Ahò, ma questa che vole? Ce ne annamo o no??
Boni, ragazzi.
Non ho mai capito perché invece di esprimersi in ionico parlino trasteverino, ma almeno mi evitano l'immensa noia di tradurli come al liceo.

Lei ha scosso la testa.
"Perché vede...."
Ho guardato in direzione del mio ufficio, lontanissimo, con lo sguardo del cucciolo che vede allontanarsi la macchina dell'ex padrone in autostrada.
"...la seta andrebbe lavata a secco."
"Benissimo. Allora la lavi a secco. Quanto fa?"
"MA il lavaggio a secco elimina le macchie d'unto, NON il caffè."

Ho compreso pienamente il concetto di ineluttabilità. Prima di oggi pensavo che l'essere umano potesse ragionevolmente controllare il proprio destino.
"Allora non c'è niente da fare?" ho concluso fissandola in attesa.

Acacio (terza fila, secondo remo) s'è staccato dalla folla vociante e con un gesto plateale ha stracciato una vela, a mo' d'esempio.
ESTICAZZI? Buttalo, brucialo, 'sto vestito!

"Potremmo lavarlo ad acqua! Però si potrebbe rovinare."

A queste parole il mio sguardo interiore ha fatto ammutolire gli ionici.

Ma come ad acqua?
Ma se si poteva lavare ad acqua secondo te me lo portavo da casa, facevo due chilometri di corsa indoor, facevo tutta 'sta fila e mi beccavo tutto 'sto discorso?
Ma allora facevo come fa qualsiasi donna che vive in un paese industrializzato: m'attaccavo ad internet, cercavo: "come togliere macchia caffè shantung seta", ricerca che invariabilmente m'avrebbe detto di usare uno (o più di uno de) i 3 Ingredienti Magici, la trimurti della pulizia fai-da-te: limone, aceto, bicarbonato.

Limone, aceto e bicarbonato. Ormai lo so: vanno bene per tutto.
Dalla cura dei calli alla scissione casalinga dell'atomo.
E così il vestito avevo la soddisfazione di rovinarmelo io, da sola.

Ma ormai era fatta.
E' il solito meccanismo.
Ormai abbiamo investito troppo in questo progetto per abbandonarlo.
Sono troppi anni che stiamo assieme.
Costa troppo rifare tutto.
L'animo umano è vile e non riesce a rinunciare proprio alle cavolate nelle quali più ha perseverato.

"Però mi deve firmare una liberatoria."
Pure?

Vedi tintora come siamo entrambe?
Io non ho il coraggio di dirti: "Grazie tante, il vestito me lo marino da sola a casa." riprendermelo ed andarmene; tu quello di dirmi: "Oca del terziario avanzato, smacchio vestiti da anni e so quello che si può o non si può fare con la seta. Tu con questa puoi farci un paio di copricuscini. La prossima volta, assumi più caffè e meno prosecchi."

Invece abbiamo taciuto entrambe, e io ho aderito consapevolmente ad un perfetto esempio di atteggiamento passivo-aggressivo, facendo uno scarabocchio sullo scontrino che le ho restituito con un sorriso tanto tirato quanto ipocrita, mentre mi consolavo con la visione lampo di me che recuperando il vestito ridotto alle dimensioni "Barbie" trasecolavo: "Il mio Dior! Ma questa non è la mia firma!", vincevo facilmente la causa contro l'odiosa tintora e con il ricavato partivo per una vacanza alle Maldive.

Niceforo (sesta fila, terzo remo), notoriamente sfacciato, mi ha lanciato un'occhiata significativa.
Nun ce credi manco tu. 
Vero.

"E' pronto sabato."
"Lo ritiriamo domenica allo sportello automatico."
Probabilmente è stata solo la mia impressione, ma la notizia ha sollevato entrambe.

Ragazzi, torniamo alla base.
Secondo voi cosa potrei mettermi al prossimo matrimonio?
E non ci provate neanche a rispondere che i marinai non ci capiscono niente di vestiti.