giovedì 3 marzo 2016

Bene Gesserit 1/4

Qualcuno dopo il mio ultimo post m'ha fatto notare che quando affronto il tema degli affanni e le angosce procurati dagli "altri", puntualmente sembro diventare un po' frettolosa, per non dire superficiale, come se il problema fosse del tutto irrilevante o comunque non mi riguardasse affatto.
E, SE il problema non mi riguarda, non è che piuttosto io sono una di quelle persone che affanni & angosce li cagiona, piuttosto che doversene preoccupare?

Il fatto che neanche questo dubbio mi preoccupi aggrava la mia posizione?

A peggiorare la situazione, intanto mi viene da replicare che uno dei miei motti preferiti da sempre è: "Never explain, never complain".
Non approvo in generale il fatto del dare giustificazioni. Però mi piace spiegare le cose, soprattutto se mi dà l'occasione di illustrare un concetto che mi è davvero molto caro.

Io sono stata educata da una serie di donne.
Provengo da una famiglia dove fino alla mia generazione c'è stata una maggioranza femminile schiacciante e giusto il minimo biologico di uomini per riprodursi. Una famiglia fatta di generazioni di sorellanze, alleanze fra donne. Una famiglia costituita da esseri con le aree cerebrali deputate al linguaggio sovrasviluppate, alle quali quindi risultava semplice esprimere tutte tutto l'amore o tutto l'odio del mondo senza parlare mai d'amore o d'odio.

La prima donna che ha influenzato la mia vita e di cui vorrei raccontare è stata mia nonna Marina.

Il mio bisnonno Alceste, primario chirurgo al Fatebenefratelli di Roma, aveva chiamato le sue due figlie molto dannunzianamente Silvana e Marina. 

Quello ben mascherato che opera è il mio bisnonno

Quando Marina aveva undici anni in vacanza d'agosto con la sorella avevano visto la madre uscire per andare a prendere il padre alla stazione e non tornare mai più, fulminata da un ictus per la strada.
Nonostante il dramma della perdita prematura della propria amatissima moglie, Alceste era un uomo per natura dedito alla propria ed altrui felicità, così crebbe da solo le ragazze nell'unico modo che conosceva: più allegramente possibile. Balli, ricevimenti a corte, concorsi ippici: a quanto pare, nel giro di qualche anno le ragazze svilupparono uno charme incredibile, e Alceste una serie di debiti alle corse altrettanto impressionante.

Fotina di Nonna e Zia. La Zia è l'ultima a DS. Chi mi conosce bene, lo capisce chi è mia Nonna.

Così, per evitare la rovina (le malelingue dicono anche un duello con l'archiatra pontificio per via di una frequentazione un po' troppo intensa della di lui moglie) Alceste partì per il Brasile e lì si addentrò nell'Amazzonia. Da ottimista e uomo solare, riprese in mano con energia il proprio destino con il progetto di ottenere fama e fortuna e quindi poter richiamare a sé le figlie: creò dal niente una condotta profondendo tutte le proprie energie nel curare tantissime persone che spesso vedevano un medico per la prima volta in vita loro. In pochi mesi poté disporre di una casa propria, un calesse a due cavalli e una piccola clinica.
Un banalissimo ascesso in gola, incurabile visto che lui era l'unico medico nel raggio di centinaia di chilometri, lo uccise nel 1925, a 54 anni. Alle figlie arrivarono le foto del suo funerale, dove si erano assiepate grate le tante persone che aveva curato, e quella della sua tomba bianca ad Anta Gorda.

Le ragazze vivevano nel nuovo quartiere Prati con gli zii. Diventate orfane, Marina dovette cominciare a lavorare: prima in Conservatoria, poi da un vecchio Notaio.
Silvana si sposò e si trasferì con suo marito a Salerno, dove morì anch'essa prematuramente.

Sono stata la prima figlia dell'unico figlio di Marina, l'unica di cui si sia realmente interessata.
Era una donna alta, di un'altezza superiore alla media che mi dispiace non aver ereditato, e con dei denti abbastanza cavallini che sono assai lieta di non aver ereditato. Da lei ho preso il viso allungato con gli zigomi alti e ossa sottili, per cui non mi lamento.

Nei miei ricordi, la paragono alla statua di una dea greca, una kore. Era altera.
Alle altre donne della mia famiglia, la rappresentanza ben più numerosa da parte materna, non piaceva: la trovavano snob e malevola. Io come tutti i bambini ero acritica. Di sicuro era una donna solitaria alla quale non pesava minimamente d'esserlo. Anzi.
Non ricordo di averla mai vista fare faccende di casa o cucinare. Cucinava mio nonno.

Erano davvero una strana coppia. Mio nonno era un commercialista nato a Trastevere. Estroverso, pieno di amici, sportivo, pieno di interessi. Sboccato come solo certi romani possono esserlo.
Mi ricordo che senza alcuna remora, con mia nonna presente (e in particolar modo credo quando lei aveva detto o fatto qualcosa che lo aveva irritato), ripeteva a me bambina:
"Questa donna non mi piaceva. Per niente! L'ho conosciuta e ho pensato "che brutta", capisci? Solo che mi intrigava, mi attizzava tantissimo! E quindi m'è toccato sposarmela!"
E lei puntualmente non replicava nulla, e se sorrideva appena lo faceva come osservando un cucciolo che rientrando dal giardino ti infanga tutto il salotto. 

Lei passava moltissimo tempo a leggere (preferibilmente, gialli) e giocare a carte. Adorava il bridge.
Si faceva cucire i vestiti a mano e mi lasciava giocare per ore con i suoi gioielli e la sua fantastica biancheria di seta, riposta dentro un comò antico di legno intagliato. 
Ricorderò per tutta la mia vita le ore di divertimento passate ad infilarmi dentro quel mobile, le cui pareti di vetro foderate su tre lati di raso di seta rosa antico plissè per me diventavano le quinte di un teatro magico dove potevo mascherarmi in mille modi.
A casa dei miei nonni non c'era nulla che fosse "non adatto ad un bambino". 
D'inverno mio nonno scriveva memorie, poesie in romanesco e dipingeva: io dormivo in una stanza le cui pareti erano completamente ricoperte dai sui quadri, fino all'altezza del soffitto, e da una libreria che allora mi sembrava enorme e alla quale avevo accesso completo. Il mio primo paradiso.
Ricordo con lo stesso innamoramento il quadro di San Giorgio e il Drago in salotto e l'edizione integrale de Le Mille e una Notte con in copertina un cielo stellato blu profondissimo realizzato in foglio d'oro e polvere di lapislazzuli, che mi turbava l'animo e colorava indelebilmente la punta delle dita.

Ricordo questa cosa, chissà perché.
Ero lì che giocavo con i colli di pelliccia di mia nonna (ebbene sì, lo ammetto: da bambina NON avevo ancora una coscienza animalista), le sottovesti di seta, i pizzi e quant'altro, quando le chiesi: "Nonna, posso farmi vedere da tutti così? Posso uscire in terrazzo??"
NON mi sembrava educato. D'altra parte avevo i capelli boccolosi e color cocker spaniel, e considerando tutti i complimenti che ricevevo in spiaggia e a passeggio, dovevo aver capito con la furbizia e la vanità dei ragazzini che sotto il sole facevo la mia figura.

Ricordo che mia nonna mi rispose seria: "Certo che lo puoi fare. Quello che non puoi fare è preoccuparti di mostrarti come sei. E tu sei meravigliosa."

Per tutta la sua vita, mia Nonna ha tenuto le foto dei propri genitori e di sua sorella sul comodino accanto a sé. Me ne parlava come di persone fantastiche, con affetto infinito, illuminandosi mentre ripensava a loro, ma mai con tristezza. Quelle stesse foto ora ce le ho io accanto a dove dormo:  mi ispirano amore.

Mia Nonna è morta a causa di un ictus come sua madre, ma a 74 anni, nel 1982, il 14 febbraio.
Stava andando a pranzo quando semplicemente è caduta ed era morta, senza clamore, il che mi sembra del tutto coerente con lei.
Ogni tanto se a San Valentino ho la tentazione di diventare triste ripensando a lei, riesco ancora ad immaginare allo sguardo che mi invierebbe, quindi desisto immediatamente.

Mia nonna mi ha insegnato che l'insicurezza è una cosa inelegante. E viceversa. 
Che risultare simpatici agli altri non è un valore di per sé.
Che leggere e poter soddisfare la propria curiosità intellettuale è importante.
Mi ha insegnato a circondarmi solo di cose belle e non derogare: meglio nulla, anziché ciò che non ti piace.
Soprattutto, mi ha insegnato per prima e da subito che tutto passa; che si può perdere tutto e tutti. 
Quindi è assolutamente importante godersi il presente e la felicità finché ci sono.