giovedì 14 gennaio 2016

Just like that bluebird

Siamo a giovedì, e posso dire che è stata una settimana complicata.
Sono tornata dalle ferie carica e piena di ottimi propositi: retto agire, retto pensare, ecc ecc...
Ero seriamente intenzionata a dare il massimo in famiglia, sul lavoro e in generale fare del mio meglio per migliorare il mondo.

Sabato mi sono messa a letto con la febbre. Ho vegetato per circa 48 ore in preda ai sintomi di un'influenza micidiale.
Lunedì mattina ho arrancato fino al pc, visto che dovevo per forza alzarmi per andare dal medico, e sono andata completamente in tilt.

Ho letto che David Bowie era morto.
Non sto qui a dilungarmi sulle reazioni che so di aver condiviso con molti.

Martedì ho riacceso il pc e ho letto che era scoppiata una bomba esattamente dov'ero pochi giorni prima.
Mi sono arresa e ho pianto tutte le mie lacrime.

Mi sono resa conto di non riuscire a trovare consolazione per la morte di David Bowie.
Dopo aver trovato da sempre incomprensibile il rapporto personale con alcune celebrità che vedevo vivere dalle mie amiche, mi sono ritrovata, e neanche con la scusante dell'adolescenza, a provare la stessa esperienza. Credo di poterlo attribuire alla sconcertante inconsapevolezza nella quale spesso ho seppellito accuratamente i miei attaccamenti più profondi.

L'esistenza di David Bowie mi ha sostenuta da sempre.
Ha fornito risposte consolanti a tutti i temi ricorrenti del mio immaginario: l'essere alieni caduti sulla terra, la nostalgia del futuro; soprattutto, il fatto di poter essere qualsiasi cosa si volesse essere.

Consolante, perché lui era la dimostrazione vivente che ognuno di questi temi, considerati devianti dai più, potevano essere trasformati in fattori vincenti, nell'essenza del cool.

David Bowie vedeva come me e tanti altri il mondo che fluttua, ma cambiando maschera, cantando, danzando, trasformava l'impermanenza in bellezza e trovava il senso per sé e per noi.

David Bowie diceva di sé di essere un artista "esperto in nulla", per cui curioso e libero di fare tutto, e anche se mentalmente io replicavo: "David, parliamone, tu a 22 anni hai scritto Space Oddity e sei un fottuto genio musicale."  però ho compreso e fatto mio il significato di questa definizione di artista.

Infatti David Bowie era il mio punto di riferimento, colui al quale invariabilmente pensavo riflettendo sul mio meme, sul virus mentale che mi porta a pensare a me stessa come un'artista.
Un'artista che però da ragazza studiava disegno e poi ha smesso; che non sa suonare né cantare, che scrive ma senza nessun interesse di piacere agli altri.
Dell'artista ho la libertà interiore, il desiderio profondo di creare bellezza e il piacere sincero nel creare.
Dell'artista mi manca il talento, il coraggio e soprattutto l'ambizione, il desiderio di incantare ed avere successo.

Per tanto tempo mi sono negata il piacere di creare perché sapevo che non sarei mai stata David Bowie (o Marguerite Yourcenar, o Van Gogh).

"Che mi metto a pasticciare io?" mi sono detta tante volte "Ci siete voi che siete fantastici. Non potrò mai neppure avvicinarmi e ogni tentativo è energia sprecata, un contributo all'entropia. Meglio mettersi a fa' una torta."

Poi martedì ho realizzato che si muore.

Così ho riconsiderato l'idea e credo di poter tollerare il fatto di produrre qualcosa che sia meno di un capolavoro immortale. Ho quasi 50 anni e quindi nessuno potrà scambiare i miei se non per gli innocui passatempi di una Signora. Penso di essere pronta ad accettare l'idea della mia imperfezione e svagarmi come tutti.

Anche questo fa parte dei propositi di vivere più serenamente, cercare armonia ed essere più gentile (e non sto scherzando ora, perché sono consapevole del fatto che la spigolosità del mio carattere derivi dalla mia difficoltà a convivere con l'imperfezione, che sia mia o altrui).

Pertanto mi dedicherò (debitamente nel tempo libero) a creare. A pastrocchiare cose imbarazzanti, a scrivere storie assurde che prometto di non obbligare nessuno a leggere, ma infine lo farò. Liberamente.

E come nel film il Cielo sopra Berlino, io credo che lo farò immaginando di avere sempre e comunque un nume tutelare - diciamolo, giacché per vivere come voglio devo avere il coraggio di liberarmi soprattutto dall'imbarazzo - un angelo custode che mi dirà, come sempre ha fatto:
Sii Libera.

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